Storia della polemica intorno all'identità delle ossa di Sant'Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa
Cleonice Baggini

Storia della polemica intorno all'identità delle ossa di Sant'Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa

scoperte l'anno 1695 nella Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia

Regia Università di Pavia, Pavia
Capitolo IV

Si spiega come mai siano potuti sorgere dubbi intorno all'esistenza del vero corpo di S. Agostino nella cripta di S. Pietro in Ciel d'Oro

 

Stabilita tutta questa tradizione favorevole all’identità, ci si può domandare come mai siano pututi sorgere dubbi intorno ad essa, come mai a questi abbiano dato appoggio scrittori quali il Sacco, il Gualla ed altri. Bisogna rifarci ai tempi in cui sorsero le prime controversie fra le due comunità religiose ufficianti nella stessa chiesa. Noi sappiamo che i Canonici di Mortara entrarono in S. Pietro in Ciel d’Oro addì 11 Agosto 1221 e gli Eremitani dell’Ordine di S. Agostino in seguito alla Bolla di Giovanni XXII poterono, l’anno 1331, fare ingresso in S. Pietro in Ciel d’Oro ed iniziare la fabbrica del loro convento. Da allora incominciarono a sorgere controversie ed attriti fra le due comunità religiose ufficianti nella medesima Chiesa, le quali andarono sempre più inasprendosi. Nell’anno 1509 entrarono i Canonici Regolari Lateranesi, che succedettero ai Canonici Regolari di Mortara, ed allora si ebbero liti ancora più clamorose. Queste liti riguardano la loro origine da S. Agostino, l’abito e la figura del patriarca. Comincia poi a nascere la questione riguardante l’ubicazione del corpo di S. Agostino, che secondo l’antica e costante tradizione è sempre stato "in confessorio iuxta altare". La questione è suscitata dai Canonici Regolari, i quali pongono dubbi intorno all’esistenza del corpo di S. Agostino nella confessione. E questi dubbi che iniziano fin dal principio, così che nel 1336 abbiamo un ricorso al Pontefice di protesta contro i Canonici, si fanno più forti verso la metà del 1500. Si ebbe la leggenda della traslazione delle sacre ossa dalla confessione in S. Appiano, fatta per timore dei Galli. E ad avvalorare questa leggenda, nella cappella di S. Appiano i Canonici avevano poste iscrizioni che son riferite dal Bossi. Vi era un’iscrizione "in ambitu oratorii" (209): "Sacellum hoc olim D.D. Basilii et Florentii Canonicorum regularium oratorium, eum in eo Augustini, Patris eorum, corpus sublatum ab ipsis de mausoleo in quo primum a Leoprando rege conditun fuerat; Gallorum ob metum clam sub altari defossum quadraginta quievit annos nunc demum instauratum est VII Kal. iul. MDLXXVI et compluribus Divorum reliquiis lucupletatum". Un’altra iscrizione diceva: "In hoc sacrario quievit corpus S. P. Augustini annis quadraginta" (210). Ve n’era un’altra pure nella cappella di S. Appiano, dove si dice che S. Siro "vixit sub divo Marco Evangelista Canonico Regulari" (211). Un’altra diceva: "Hic conditur corpus divi Patris Augustini". Vi era inoltre sopra una pittura rappresentante Liutprando che seppellisce il corpo di S. Agostino, presente un Canonico Regolare ed un Eremitano, questa iscrizione (212): "Nos Flavius Liutprandus Longobardorum rex salutis DCCXX, et Regni nostri XI, nonis martii, sedente in Pontificatu Gregorio II, cum Petro Episcopo Papiensi et Lucido Praesbytero huius ecclesiae S. Petri multisque suis canonicis Regularibus, corpus eorum Patris Augustini nostrique, in hoc sacrario deposuimus". Tutte queste iscrizioni non hanno nessun valore storico e dimostrano abbastanza bene quale sia stata l’origine e la nessuna serietà e consistenza dei dubbi sorti intorno all’identità del glorioso corpo di S. Agostino. Infatti in una di esse si parla di Canonici Regolari esistenti al tempo di Carlo Magno, mentre noi sappiamo che i Canonici Regolari entrarono in S. Pietro in Ciel d’Oro l’anno 1221. In un’altra si dice: "S. Sirus vixit sub divo Marco Evangelista, canonico regulari". In un’altra ancora si parla di Canonici Regolari esistenti sotto Liutprando. A provare che i Canonici Regolari esistessero in S. Pietro in Ciel d’Oro fin dal tempo di Liutprando, essi lo dimostrano con argomenti non veri. Si appellano ad una lapide che porta questa iscrizione (213): "Prope schallas chori Liutprandus Longobardorum rex inclitus ob translatum divi Augustini corpus, Templum hoc simul et abatiale coenobium canonicis regularibus […] instauravit". A questa iscrizione si contrappone quella rogata dal Notaio Aurelius De Magistris (214) dell’anno 1607 in cui si dice: "Liutprandus […] templum hoc simul et abatiale coenobium Religiosis inibi degentibus cum dote instauravit". Invocano inoltre una pittura in una sala del Collegio dei Gesuiti in Pavia, relativa all’occultazione delle sacre reliquie, con un’iscrizione sopra "tumulus divo Augustino in basilica divi Petri extruxit tres". Questa pittura, per testimonianza di Bernardino Ciceri pittore di Pavia(215), è giudicata opera di Pittore posteriore a Michelangelo e Raffaele d’Urbino, inoltre intorno al carattere dell’iscrizione sovrapposta si dice che sono del tutto simili a quelle che si usavano al tempo dello stesso pittore, cioè circa il 1728. D’altra parte i Canonici regolari e gli Agostiniani presenzianti l’occultazione delle sacre ossa del santo non esistevano in quel tempo in S. Pietro in Ciel d’Oro. Gli stessi Canonici riferiscono che secondo una indemoniata (1579) (216), il corpo di S. Agostino si trovava "sub lapide signato" verso S. Appiano. In seguito a questo fatto, dall’anno 1580 i Canonici Lateranensi cominciano a distrarre altrove la devozione del popolo, facendo credere che le reliquie di S. Agostino fossero dalla parte della cappella di S. Appiano. Abbiamo prima del 1580 delle lettere (217) responsive del P. Generale degli Eremitani al P. Preposito di S. Pietro di Pavia per certi indizi dati da una indemoniata: che il corpo di S. Agostino sia verso S. Appiano. In esse si lamenta come mai abbiano potuto prestar fede alla parola di una spiritata, la quale voleva far esistere il corpo di S. Agostino in parte diversa dallo scurolo. Si oppongono gli Eremitani ed il loro Priore protesta per mano di notaio (218): "Dico quod transgressi estis transactiones et in poenas ibi positas incurritis; et in primis transactionem festi beati Patris Augustini similiter festum beati Patris Augustini [...] ad nos spectat nec in aliquo vos intromittere debetis, et nihilominus inusitate exornastis coppellam illam in qua diabolus reliquias Augustini esse proclamavit, ut ad id credendum populum paulatim inducatis". Si lamentano cioè contro i Canonici perché contro i patti stabiliti, si intromettono e disturbano la festa di S. Agostino, ornando fuori dell’usato una loro cappella, per attrarre da quella parte la gente e persuaderla a poco a poco che ivi sono le reliquie di S. Agostino. Ma non protestano contro questo tentativo gli Eremitani soli, ma il Comune stesso di Pavia, il quale tre anni dopo e cioè nel 1583 in una lettera indirizzata al R.mo P. Generale degli Agostiniani (219), dopo aver parlato della visita fatta dal Card. Paleotto "per torre la perdonanza al detto glorioso corpo" si esprime così: "et hora havendo fatto li canonici una bellissima cappella cum lampada accesa continua nel loco dove cercaveno già da tre anni il detto corpo (220), et per caver via il suspetto dei plebei che hora stan in dubio sia nel loro consueto, o sia nella lor cappella, avendo detto il predicator in pulpito, raccomandando un’indulgenza ottenuta per quella cappella che lui tiene sia là" si prega il P.Generale che dia esecuzione ad un lascito del Portogallo, col qual si doveva ornar con lampade, il vero sepolcro di S. Agostino. E fu il medesino Comune di Pavia, il quale il 22 Gennaio dello stesso anno aveva con atto solenne deliberato "quod porrigantur preces ill.mo et excell.mo Principi et alibi ubi expediens erit, ad effectum ut imponatur silentium ipsi negotio perquirendi dictas sanctissimas reliquias" (221). Così si ebbe il Breve di Gregorio XIII, che proibiva di far ulteriori ricerche intorno al corpo di S. Agostino. A dare un impulso maggiore a tutti questi dubbi comparve circa l’anno 1600 il libro rosso (222), compilato da un Canonico Regolare, Giovanni Imperatore. Esso (223) metteva dubbi sull’esistenza del corpo di S. Agostino nella confessione, narrando la traslazione all’altare di S. Appiano fatta dai beati Basilio e Fiorenzo. Infine come coronamento e per dare maggiore fondamento a tutti i dubbi suscitati, si ritrova un corpo che viene ritenuto per quello di S. Agostino. Glicerio Landriano, l’anno 1627, contro la disposizione dei Papi, in conformità del famoso Libro Rosso, fece scavare sotto l’altare di S. Appiano e sotto il luogo segnato dalla bianca pietra e trovò (224) "un’arca in mattoni e dentro ad esso si trovarono alcune ceneri ed ossa di morto" senza scrittura alcuna. Egli poi, di suo arbitrio senza l’intervento delle autorità, fece racchiudere le dette ossa in una cassa di legno e vi fece porre le seguenti parole: "Ossa et cineres in sacello sancti Appiani sub lapide signata reperta sunt, ubi fama fert, opinio suadet reliquias fuisse magni patris Augustini ubi manet sepulchrum pignora novissime, hic sunt translata ad laudem dei qui gloriosus in omnibus sanctis suis". Questo fatto adunque è tutt’altro che regolare e se si considera come mai si sia dubitato intorno alle ossa, scoperte l’anno 1695, racchiuse in triplice cassa, contenute finalmente in una cassetta d’argento, si capisce come sia del tutto inverosimile e falso che le ossa del glorioso Padre della Chiesa si siano trovate racchiuse in una indecente cassa di legno senza iscrizione e che la loro scoperta non sia stata riconosciuta da nessuna autorità. Riesce naturale adunque come di fronte all’attività esercitata dai Canonici Lateranensi per metter dubbi intorno all’esistenza del corpo di S. Agostino e con pitture e con iscrizioni e con scritti all’uopo composti e divulgati e collo scoprimento di altre ossa che si volevano far credere per quelle del Santo, alcuni scrittori di quei tempi dubitassero anch’essi intorno all’autenticità della ossa, e di fronte a tanti fatti, fossero più propensi a inclinare dalla parte dei dubbi che non da quella della verità. Così si spiega come il Sacco, il Breventano, il Pennotti ed anche stranieri come il Mabillon abbiano potuto scrivere in maniera dubbia, narrando anche la leggenda delle tre fosse (225). D’altra parte non sempre gli scrittori ed i cronisti sono immuni da errori e da contraddizioni. E a questo proposito citerò un esempio d’un fatto tanto incredibile e paradossale quale non si potrebbe ammettere che dovesse accadere ai lumi della critica d’oggi. Nella guida Treves dell’anno 1910-11 fra tutti gli errori ch’ivi sono registrati, fra i quali quello di dire che nella Piazza Grande si trova il Mercato Coperto, che il Duomo è un edificio in forma di croce greca, che la chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro ha la facciata in stile Romano, si riferisce del Duomo: "L’interno è semplice, ma grandioso. Nella terza cappella a destra è l’Arca di S. Agostino, uno dei lavori più pregevoli di scultura gotica, ornato di circa trecento figure" (226). D’altra parte noi, a questi scrittori che mettono dubbi intorno alle vere ossa di S. Agostino abbiamo da contrapporre tutta una tradizione favorevole coi suoi scrittori quali il Gualla, Agostino Ticinese, il Pietragrassa, il Torelli, ecc. Le due comunità stesse tredici anni prima della scoperta delle sacre ossa fanno il riconoscimento del locus loci, come appare dal documento della visita fatta del Generale Agostiniano al sepolcro di S. Agostino, per ornare il quale presero insieme gli accordi il medesimo Generale ed il proposito dei Canonici. I Canonici riconoscono essere là ove fu trovato il corpo di S. Agostino anche per mezzo dei loro storiografi. Infatti Agostino Ticinese dell’anno 1500 primo cronista dei Canonici Lateranensi dice: "Fons autem in ipso D. Augustini Sacello exortus est ubi corpus eius fuerit reconditum". E poco dopo: "Quibus Canonicis etiam pertinebat altaria ornare lampadibus, et locum in confessorio, ubi corpus SS. P. Augustini iacet". Dal breviario dei Canonici Lat. ad essi concesso nell’anno 1570 si ricava che (227): "Fons indeficiens, in loco in quo primum sacellum corpus depositum fuit exuberare coepit". Infine lo confermano col fatto che essi andavano a cantare l’antifona nella cripta, ove fu rinvenuto il corpo di S. Agostino.

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(209) Bibl. Univ. Pavia, Ms Bossi n. 190, pag. 16.

(210) Ibidem , pag. 16.

(211) Ibidem , pag. 15.

(212) Ibidem , pag. 29.

(213) Ms Bossi n. 19, Inscriptiones, pag. 13, n. 6.

(214) Bibl. Univ. Pavia, Ms n. 428, Cartella A n. 13.

(215) Vedi Ms n. 428, con busta B.

(216) Collectio actorum, vol. I, pag. 395.

(217) Ms n. 428, cart. C, senza busta. Bibl. Univ. Pavia.

(218) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. IV, pag. 85.

(219) Arch. Museo Civico di Storia Patria, Pavia: Pacco Religiosi.

(220) E si riferiscono a a questa circostanza le iscrizioni del Bossi.
(221) Codex cit., vol. IV, pag. 74.

(222) Vedi Collectio actorum cit. vol. I, pag. 130. Trovasi in Bibl. Univ. Pavia MS 32 Ticinensis: il Bossedi nota che questo è un esemplare o forse il primo abbozzo della cronaca di S. Pietro in Ciel d’Oro, detta il libro rosso, compilata verso il 1300 da Giovanni Imperatore, Canonico Lateranense. Manca del principio e di alcuni altri fogli.

(223) Pag. 10, cap. 10.

(224) Bibl. Univ. Pavia, MS. 482, cart. senza busta A, n. 15.

(225) SACCUSDe ital. rerum variet., pag. 104ss; BREVENTANUSHist. Ticinens., lib. 3, cap. 21; PENNOTUSHist. tripartita, cap. 37.

(226) E’ vero che l’anno 1799 fu trasportato nella Cattedrale (MAIOCCHI, L’arca di S. Agostino, pag. 22), ma fu riportata in S. Pietro in Ciel d’Oro l’anno 1900 dopo che la basilica venne riaperta al culto.

(227) Collectio actorum cit. vol. I, pag. 135.