La Relazione (a parte il ricordo di una lapide del 1571), fa riferimento a fonti orali riportando la fondazione, grosso modo, al medesimo periodo, infatti abbiamo notizia che «presso la chiesa rurale di S. Maria d’Arco, fabbricata verso la metà del secolo XV si stabilì circa la metà del secolo successivo, una piccola comunità di Eremiti Agostiniani. Di tale comunità non rimane ora che qualche vago resto dello scomparso convento e un bel calice cesellato del 1523, che l’Annibaldi dice probabile opera di Maestro Giovanni di Jesi, discepolo del Maestro Giovambattista di Venezia». Lo stesso Annibaldi riferisce, inoltre, che nel 1546 a Santa Maria di Portone di Jesi, poi San Giuseppe, «vi stavano i cosiddetti Eremitani di S. Paolo; si ha qualche notizia che non vi menassero vita sempre buona, e perciò ne partirono». Si tratta, con ogni probabilità, degli Agostiniani che nel 1559 ottennero dai Quattro del castello Santa Maria d’Arco ma, già nel 1652 il luogo risultava soppresso. Per l’epoca seguente sappiamo che la chiesa rurale, inizialmente unita alla parrocchiale, passa poi alla confraternita del Sacramento, mentre nel 1726, durante l’episcopato di Antonio Fonseca, si ordina di restaurare l’edificio a causa del suo grave stato di degrado, e si dà la descrizione di una pictura in tabulis con la Madonna e santa Monica «entro un piccolo ornato di legno scolpito e dipinto» e di «icon nimis perantiqua circumligata simili ornamento ligneo», con l'immagine della Vergine. Fino al secolo XVIII continuava ad esservi anche il fabbricato del convento, ma nel 1896 monsignor Aurelio Zonghi, dopo aver precisato che la chiesa è su un colle a nord-est del paese, la definisce piccola «e come memoria dell’antica chiesa parrocchiale che ivi credesi fosse collocata».
Tiziana Marozzi